Pubblicato il: 26/04/2016   

Gentili Autorità, Cari Concittadini,

oggi si celebra il 71° anniversario della Liberazione.

Una data simbolo, presa a emblema di una vicenda estremamente più complessa che certo non si esaurì nell’arco di 24 ore. Una data che nell’immaginario collettivo e nella storiografia è stata poi elevata alla fine del conflitto per il nostro Paese. Il 25 aprile, per l’Italia, rappresentò di fatto una cesura tra il passato e il futuro, tra la paura e la speranza, tra la devastazione e il desiderio di ricostruzione, tra la morte e la vita.

Settantuno anni or sono, alle 8 del mattino del 25 aprile 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava la liberazione dal Collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano.

L’insurrezione era già in corso a Niguarda da quasi 24 ore, innescata da uno scontro casuale tra partigiani e fascisti. Calò quindi nella notte una coltre di silenzio: una città sospesa tra timore e incertezza, che tratteneva il fiato in attesa di capire quale destino si stesse prefigurando all’orizzonte.

E all’orizzonte, all’alba del giorno successivo, si cominciò a capire che si stava scrivendo la prima pagina di una nuova storia.

Molto è cambiato da allora, in primis la forma dello Stato che il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 ammantò di veste repubblicana.

Oggi, per puntuali e fondate ragioni, abbiamo il diritto e il dovere di andare fieri di quella che fu chiamata Resistenza: un movimento collettivo, prima ancora etico, morale, sociale e culturale che politico, che seppe far convergere in uno sforzo comune e condiviso contributi e risorse provenienti da un’Italia comunque eterogenea e frammentata.

È un diritto che abbiamo come nazione e come individui perché è giusto rivendicare la bontà e la giustezza di ideali che seppero porre un freno alla corsa folle dei regimi liberticidi.

Ed è parimenti un dovere istituzionale riportare alla memoria, soprattutto delle giovani generazioni, un momento storico cruciale come quello che l’Italia affrontò dall’avvento del fascismo fino alla rinascita democratico-liberale.

Nonostante tutto, se ci limitassimo a una pletora di ovazioni, di plausi e di servili omaggi in nome del politicamente corretto, svuoteremmo di significato queste stesse celebrazioni, derubricandole ad arido adempimento.

Ben più grave sarebbe illudersi o addirittura fingere che nulla sia da correggere lungo la rotta attuale, nulla sia da analizzare, da migliorare, come se l’eredità del 25 aprile avesse trovato ormai il proprio alveo di pace e di soddisfazione e non avesse più motivo di avanzare richieste all’uomo e alla Storia.  

In realtà questa solennità civile ha ancora molto da insegnarci, molto di cui ammonirci, rimproverarci, molto per cui dovremmo preoccuparci e porci delle domande.

La Festa della Liberazione dovrebbe rappresentare per il nostro Paese il punto più alto della nostra storia post-unitaria; non si trattò semplicemente di anteporre le "forze del bene" alle "forze del male" o una nazione "giusta"contro un'altra nazione di cui la Storia avrebbe poi stigmatizzato il comportamento collettivo e il fanatismo ideologico.

Una simile lettura del passato andrebbe a detrimento di chiunque, tanto tra i vinti che tra i vincitori, non riuscendo a far emergere appieno la gravità di quegli eventi. La Liberazione fu innanzitutto, per il nostro Paese, una vera e propria rinascita civile, istituzionale, morale, culturale.

Fu la risoluzione di un profondo travaglio interiore che vide italiani contro italiani: da un lato coloro che credevano nel valore della libertà e del rispetto dei diritti dell'uomo; dall'altro coloro che, per convinzione, o per assuefazione, o per scarsa avvedutezza e lungimiranza, se non anche per egoismo e opportunismo personale, avevano riposto false speranze in un regime oppressore.

La Liberazione fu dunque per l'Italia la fine di una terribile guerra intestina, che peraltro non si concluse definitivamente al tramonto del 25 aprile. Sappiamo bene che strascichi insanguinati seguirono per lungo tempo ancora, così come tristemente si rincorsero vendette e rivalse in un Paese martoriato che doveva e voleva fare ammenda di uno scomodo e imbarazzante trascorso littorio.

Tutto questo nulla toglie al significato di tale ricorrenza. Anzi, a mio avviso, ne enfatizza le intrinseche e virtuose eccellenze, ossia la capacità e la determinazione di un popolo nel saper riconoscere i propri errori di valutazione, i propri sbagli e i propri abbagli.

In  particolare, il 25 aprile è per l’Italia un esempio di coesione sociale che supera gli individualismi, le personali posizioni politiche, le differenti origini e basi ideologiche.

La Liberazione fu la vittoria di un ampio fronte che disse definitivamente no al fascismo, no al dispotismo, no alla violenza e alla barbarie come forme di governo e di controllo.

Fu il sì, categorico e irremovibile, ai diritti universali dell’uomo, alla sete di democrazia e di giustizia, di equilibrio e di moderatezza.

Fu la vittoria del compromesso, da intendersi nella sua più nobile accezione e non nel senso di impoverimento di un risultato. Da una certosina opera di mediazione culturale nacque infatti la Costituzione italiana, frutto di un dialogo e di un confronto ideologico particolarmente severi, attenti, costruttivi, improntati a tracciare un solco di garanzia che fornisse tutele giuridiche allo sviluppo futuro del Paese.

La passione politica che venne profusa nei lavori dell’Assemblea Costituente e che comunque si respirava nelle piazze al di fuori delle cinta istituzionali non poteva che essere figlia del 25 aprile, perché quel 25 aprile era stato vissuto e attraversato dai nostri padri in tutta la sua dolorosa e febbrile portata storica.

Da un dramma enorme come furono la seconda guerra mondiale e i genocidi e le efferattezze che  la accompagnarono, l’Italia seppe dunque prendere le distanze e fornire alla Storia la migliore prova di sé;  la Costituzione, a distanza di quasi tre quarti di secolo, ne è la testimonianza più viva e concreta, una sintesi pregevole e pressoché insuperabile che è riuscita a sostenere il cambiamento dei tempi e l’evoluzione della società.

Quella Italia c’è ancora?

Siamo ancora in grado di fare tesoro dell’esperienza del 25 aprile attualizzandone, nel presente, gli insegnamenti?

Non sono domande pleonastiche.

Le pronuncio semmai con una voluta nota di provocazione perché è evidente che oggi il nostro Paese e con esso l’Europa intera, quella stessa Europa che subì sulla propria pelle le ferite del nazifascismo, stiano attraversando un momento di forte smarrimento e di insicurezza identitaria.

Di fronte a noi, di fronte a un’Europa che si sta lentamente sfaldando dopo aver forse troppo osato sulla via dell’unione comunitaria, un’altra guerra si sta consumando, perché il numero di morti e le macerie che lascia dietro di sé hanno la dimensione di un vero e proprio conflitto.

Mi riferisco alla tragedia umanitaria dei migranti, alle notizie e alle immagini angosciose che quotidianamente riempiono le cronache dei media. E’ un’emergenza globale, che va esaminata e gestita nella sua ampiezza e atrocità con uno sforzo sovranazionale da cui nessuno Stato europeo può accampare la pretesa di estraniarsi.

Dov’è dunque finito lo spirito del 25 aprile?

Dov’è la bella e fiera Europa degli accordi di Schengen?

Dov’è il mercato libero in grado di far crescere l’economia, di creare occupazione, di far circolare persone, merci, idee e valori?

Laddove si alzano muri, laddove ci si attarda in “manovre diversive” atte solo a procrastinare il problema, laddove ci si trincera dietro a motivazioni solo apparentemente condivisibili e legittime, sulla falsariga del “non è possibile accogliere tutti” che è comunque un dato incontrovertibile, ecco: laddove accade tutto questo non si fa certo onore a chi ha combattuto per la Liberazione e la pacificazione. Non si fa onore ai valori della coesione e della concertazione, ai valori legati a un’Unione Europea solida in grado di esprimere un comune denominatore di pensiero, di cultura, di riferimenti etici e sociali.

La solidarietà, di fatto, non può rappresentare l’unica risposta alla catastrofe umanitaria che si consuma alle porte di casa nostra.

Servono più risposte, più contributi, più azioni strategiche, più  linee di intervento che siano articolate, complementari fra loro, strutturali e durature.

Serve, ancor prima, ripartire da quel 25 aprile: dalla consapevolezza di dover restare uniti per poter affrontare una sciagura come allora fu il nazifascismo e oggi è invece l’ondata dei migranti.

Ripartiamo dunque dalla Liberazione, dai suoi moniti, dai suoi lasciti morali. Facciamolo con senso di partecipazione civica e assunzione di responsabilità.

E facciamo in modo che le bandiere della libertà e dell’Europa svettino su un terreno fertile degno di ospitarle.

Grazie per l’attenzione e buon 25 aprile a tutti.

 

Edoardo Mazza - Sindaco di Seregno

(Seregno, Sala Civica "Monsignor Gandini" - 25 aprile 2016)