Pubblicato il: 25/04/2017   

 Gentili Autorità, Cari Concittadini,

ben ritrovati e grazie per la Vostra significativa presenza alle celebrazioni del 25 aprile. Sono trascorsi ormai 72 anni dal 1945; i testimoni diretti di quei giorni, che da adulti vissero un momento epocale e che ancora ne conservano nitidamente il ricordo, non sono più molti e a noi delle generazioni più giovani, nati nella Repubblica e nell’Italia già liberata, spettano l’onore e l’onere di farcene degni eredi.

 Intorno a questa data così simbolica ed evocativa per il nostro Paese, sulla quale, però, non si sono mai sopite strumentali polemiche ideologiche, tese a ricondurre in un solo campo o nell’altro i valori della Resistenza, vi è ancora oggi un carico di aspettative non indifferente, come se esistesse un margine di “liberazione” da compiere, come se qualcosa di effettivamente deluso o disatteso aspettasse l’intervento risolutore dei posteri e una rinnovata linfa socio-culturale per alimentarne la portata e l’efficacia.

Bisogna ammettere, fuor di retorica, che è proprio così, nella palpabile e diffusa consapevolezza che al gesto celebrativo vada affiancata una riflessione onesta e rigorosa su ciò che del “25 aprile” sia purtroppo rimasto lettera morta, o che comunque non abbia prodotto i risultati secondo i desiderata e le previsioni dei nostri Padri Costituenti.

Ciò che esiste nell’Italia di oggi è senza dubbio una Costituzione che resiste: resiste allo scolorire del tempo, agli attacchi graffianti di un’epoca in continua mutazione. Resiste a distanza di decenni grazie alla capacità giuridico-intellettuale dei suoi estensori, grazie a una ricomposizione virtuosa di dialettiche opposte, provenienti ciascuna da un proprio excursus storico-culturale, provvidamente pacificate e sintetizzate nei principi fondamentali richiamati nella prima parte della Costituzione.

A dicembre cadranno 70 anni esatti dalla sua approvazione e promulgazione, mentre è del 1° gennaio 1948 l’entrata in vigore. Ieri come oggi, alla Costituzione sappiamo guardare con motivato orgoglio ed entusiasmo, corroborati dalla constatazione che sia forse l’unico vero collante a certificare la nostra esistenza in vita di popolo e di nazione.

Su molto altro, purtroppo, siamo mestamente divisi. E divisivi. L’Italia dello scontro verboso, fatto di accenti sopra le righe; l’Italia che aspira al merito ma che poi non adegua il proprio comportamento alla necessità di fare della meritocrazia l’elemento qualificante della ricerca occupazionale; l’Italia che si dice fondata sul lavoro ma che ancora non attua proporzionate e bilanciate politiche di conciliazione che rendano la parità di genere e il rispetto della dignità della persona e dell’ambiente dei suoi validi contrafforti e “alleati”; ecco, questa Italia rischia in più di un’occasione di appannare il grande patrimonio storico e socio-culturale che ricorrenze istituzionali come il 25 aprile hanno contribuito a edificare.

Festeggiare ai nostri giorni la Liberazione non può dunque prescindere da una assunzione di responsabilità, politicamente trasversale ma che sia anche civica, individuale e collettiva.

Non può prescindere dal contesto internazionale in cui siamo inseriti, in un quadro di incessanti sollecitazioni e stimoli esterni che richiedono una ineludibile presa di coscienza.

Sono numerosi e spinosi i fronti “caldi” che si aprono intorno a noi, faglie pericolosissime che possono terremotare le nostre stesse radici e fondamenti culturali: dalla crisi economico-occupazionale che ormai da tempo ha investito i Paesi occidentali fino ai fragili equilibrismi di “coabitazione” nella comune casa Europa, soffocata da eccessive catene di carattere burocratico-finanziario e legislativo, passando per il dramma dell’immigrazione e dei profughi che fatica a trovare una collocazione su un tavolo di confronto internazionale in grado di discutere e attuare strategie strutturate e strutturali. Il mero shock mediatico, ogni qual volta ci sentiamo scossi dalle tremende immagini di bambini straziati e violentati nella loro fanciullezza, non sortisce effetti di lunga durata.

Nonostante la complessità di situazioni oggettivamente più grandi di noi, spesso difficili da decifrare e da razionalizzare, la festa della Liberazione ci viene ancora in soccorso e ci offre una chiave di interpretazione che può davvero aprirci nuovi orizzonti e offrire nuove prospettive di crescita e di sviluppo. I suoi valori, infatti, resistono alla caducità umana e alle umane debolezze; resistono agli errori e agli orrori di un mondo inquieto dove le dinamiche di predominio economico-finanziario fanno perdere di vista i diritti civili degli individui e la salvaguardia della dignità della persona; resistono di fronte alla tentazione di chiudersi in se stessi in un’ottica miope di difesa e di auto-conservazione; resistono anche di fronte alla paura di relazionarci con chi è diverso da noi, spingendoci semmai a capire le altrui sofferenze e le altrui esigenze; resistono nonostante la logica prevalente di dirimere le questioni nell’immediatezza senza porsi sufficienti domande su quello che sarà il futuro dei nostri figli; resistono, quei valori, perché sono intimamente correlati alla natura umana e all’insopprimibile esigenza di felicità, di pace, di libertà. Vi è poi una caratteristica che contraddistingue da sempre il nostro Paese, un tratto essenziale della nostra identità che ci viene tramandato di generazione in generazione e che ha senza dubbio contribuito, nel tempo, a svelare il volto più bello di questa nazione dalle grandi e inestimabili eredità culturali, artistiche, letterarie. Mi riferisco alla capacità, forse tutta nostra, e possiamo affermarlo con un pizzico di umano e legittimo orgoglio, di creare eccellenze, di emergere per creatività e spirito innovativo. Anche questo rappresenta un modo di resistere e di mantenere alti i nostri sogni e le nostre aspirazioni.

Su queste premesse nacque dunque il movimento della Resistenza che divenne poi Liberazione e a sua volta processo di sviluppo democratico-repubblicano. I differenti innesti e apporti politico-ideologici erano comunque poggiati saldamente su un comune “sentire”, su comuni bisogni, su gioie e dolori che erano propri dell’animo umano, senza distinzioni geografiche, storiche, sociali o culturali.

Se questi valori torneranno a resistere anche nei nostri cuori e nelle nostre menti – e tutto ciò è possibile perché già così è stato in passato – saremo capaci di intravedere e percorrere insieme un’altra via di liberazione e pacificazione, un’altra via per costruire un Paese che sia davvero aderente alla propria Costituzione e che non dimentichi le sue origini, la sua storia, i suoi sogni e le sue emozioni.

Grazie a tutti per l’attenzione.

Edoardo Mazza - Sindaco di Seregno

(Seregno, L'Auditorium di piazza Risorgimento - 25 aprile 2017)